Francesco Miceli - LONGOBARDINFOTO

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FRANCESCO MICELI  (DON CICCIO)
Il prete che ha  messo tra parentesi molte cose per consacrarsi ad una sola grande passione: portare il Vangelo. Nasce in una famiglia di condizioni economiche  agiate. Sarà sempre in bolletta per quelle mani  bucate che non riescono a trattenere neanche i soldi per una tonaca nuova, alla quale dovrà provvedere sistematicamente la sorella, Donna Lisetta, che non tollera abiti lisi per nessuno, e che con le sue mani ricama camici e tovaglie d’altare. Si laurea in giurisprudenza alla Sapienza di Roma, e, subito dopo, depone la pergamena in un cassetto. Solo il suo vescovo, Mons. Felice Cribellati, che lo ordina sacerdote a Longobardi il 17 settembre 1933, lo chiamerà, con sentimenti di stima, l’avvocato. Degli altri non se ne accorgerà mai nessuno, salvo  quando lo si scoprirà preciso nel linguaggio, aggiornatissimo in teologia ed entusiasta senza fughe della scaturigine prodigiosa del Concilio Vaticano Secondo. In molti si sono chiesti se davvero è stato lui l’autore della biografia di “Donna Lisetta”. Certo che è lui l’estensore veloce e documentato di quelle pagine senza incespica ture e distrazioni, lui che pure qualcuna ne mostrava nel parlare e nel muoversi, tra lampi d’ingegno e una premura (non fretta) di andare nelle case e, soprattutto, al di là delle case. L’humus familiare, parrocchia e Azione Cattolica, fucino a Roma con lo storico Assistente, Mons. Giovan Battista Montini, non potevano che mettergli le ali per correre ad evangelizzare.
Ma non al Centro (mette tra parentesi anche l’invito per un incarico in Vaticano), bensì in periferia e, meglio, tra i contadini, gli operai, tutta gente che faceva più fatica a leggere che a coltivare la terra. Perché qui, il lavoro, anche per un sacerdote, si faceva più impervio, dovendo macinare catechismi difficili in linguaggio terra terra. E’ stata, questa, la grande passione di Don Ciccio (che mise pure tra parentesi quel “Monsignore” che si vede solo nell’abito con il quale decorosamente si presenta al saluto dal suo vecchio amico Don Battista, ormai Paolo VI).
Tentò, e vi riuscì, tra alterne e non sempre fortunate vicende, di coagulare per la stessa missione, portare il Vengelo agli ultimi, altri giovani in seguito diventati presbiteri. Lavoro a tempo pieno: preghiera, studio, ritiri spirituali, catechesi e poi ancora catechesi per piccoli, giovani, adulti e anziani. Con Don Ciccio si stava bene nella conversazione, a tavola, in viaggio, a briscola e a tresette, per stemperare il peso della fatica e godere ancora un po’ del bene della compagnia. I suoi amici, numerosi, a Longobardi e poi nella Parrocchia di Sant’Aniello a Cosenza, lo ricordano ancora come maestro, padre nella fede e nella testimonianza di vita. Il venti agosto del 1992 muore in Fiumefreddo Marina, dopo tre anni di malattia a coronamento di una vita intensa e donata a Dio. Non perse neanche nell’agonia il sorriso e l’ironia. Erano stati, forse, il segreto della sua vita.
Mons. Pietro De Luca

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